L’originale pacifismo di Dino Campana
Pace non cerco, guerra non sopporto
tranquillo e solo vo pel mondo in sogno
pieno di canti soffocati. Agogno
la nebbia ed il silenzio in un gran porto.
È la quartina iniziale di “Poesia facile”, uno dei pochi testi di Dino Campana che non fanno parte della sua opera principale: i “Canti orfici”.
Campana è certamente un animo sempre inquieto, polemico verso i contemporanei, disprezzava i futuristi.
Questo poeta raffinato, la cui opera, secondo Luzi, è il principale tentativo di creare il sublime nel ‘900, restò immune alla “grande ebetudine” di cui parlava Thomas Mann ne “La montagna incantata”: la passione bellica che condusse l’Europa al disastro che fu la prima guerra mondiale.
Nel 1914 quando tutta Italia stava diventando interventista e per le strade si insultavano gli austriaci e i tedeschi, Dino Campana dedica i “Canti orfici”, suo capolavoro, a “Guglielmo imperatore dei germani”.
Se una follia c’era in Campana era la follia della provocazione.
Gli è costata essere spesso espunto dalle antologie e probabilmente l’essere avviato più rapidamente di quello che era necessario nel manicomio di Castel Pulci, dove morì a soli 47 anni, nel 1932, a causa della setticemia dovuta a una ferita procuratasi in un tentativo di fuga.
Luca Giordano
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