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Di quanta liberazione c’è ancora bisogno …

Il 25 aprile è per noi un’eredità e un debito. Dovrebbe essere soprattutto la festa dei nostri vecchi, di quelli che la Liberazione l’hanno pagata sulla loro pelle, se la sono guadagnata con i loro sacrifici, hanno combattuto e sofferto per avere finalmente la dignità di un paese libero e giusto. L’hanno fatto senza enfasi, con la sobrietà e l’entusiasmo di una generazione che stava compiendo qualcosa di grande, anche nelle scelte di ogni giorno.

Sono mio padre, mia nonna, sono i vecchi che la mattina presto fanno la fila al mercato con le mascherine, sono soprattutto i troppi anziani che hanno perso la vita in questi giorni nelle RSA e nella case di riposo cresciute senza controllo dappertutto nel nostro paese. Nessuno le ha contate, non esiste alcun elenco che le organizzi, e anche questo non è di poco conto.

E’ un 25 aprile amaro, questo, e non solo perché non possiamo andarcene in giro con il sole. Quello che fa male è il sapore malinconico di una commemorazione muta, che non riesce a vedere di quanta liberazione c’è ancora bisogno. Liberazione dalle barriere culturali e sociali, dalle paure e dalle difese contro gli altri, dalle prigioni e dalle tante strutture che limitano la libertà fondamentale di ogni individuo. Liberazione dai nostri stereotipi, dalle paure che abbiamo dentro e dai miti disumani di una mentalità materialistica.

Fa male oggi ascoltare la voce degli anziani nelle RSA invase dal Covid, come la lettera bellissima nel suo dolore di un anziano ospite in una struttura, fa male perché è proprio un’ingiustizia che chi ci ha consegnato una libertà che a noi pare ovvia e scontata debba morire così.


Le statistiche ci dicono che sono quelli che muoiono di più, in proporzioni impressionanti, e ciò che ieri era nascosto oggi ci acceca con un’evidenza impietosa. Sono centinaia di migliaia i vecchi italiani che non vivono più a casa loro ma trascorrono il loro tempo ultimo in letti di RSA, stanzette di case di riposo, angoli bui di villette anonime. Non si sente la loro voce. Ma oggi riempiono le bare dei cimiteri.

Per chi gestisce tutto questo è un modo di fare tanti bei soldi, per le amministrazioni pubbliche è una soluzione per niente economica ma alla fine funzionale, per i parenti sembra essere l’unica alternativa possibile in situazioni complicate. E per gli anziani? Chi glielo chiede cosa vogliono davvero? Il nostro non è un paese per vecchi, perché ha smarrito per strada la tenerezza per gli altri e, alla fine, anche per sé.

Allora forse rendere oggi merito e onore a quel 25 aprile del 1945 è immaginare e costruire un mondo più giusto, soprattutto per chi allora aveva 20 anni e oggi è forse allettato. I soldi, invece di destinarli a questa costellazione metastatica di strutture residenziali, lo Stato e le varie amministrazioni dovrebbero investirli in servizi per la domiciliarità, perché i nostri anziani vogliono restare a casa, la loro o dei figli o in appartamenti protetti, controllati e garantiti anche da operatori sociali qualificati.

Tanti vecchi dicono che non vogliono pesare sui loro parenti e che preferiscono andare in una casa di riposo. Non crediamogli, è un atto d’amore disperato verso di noi che dovremmo occuparcene, è una non-scelta dettata dall’amarezza di sentirsi scartati in un mondo privo di tenerezza e di intelligenza. E’ ciò che non vorrei per la mia vecchiaia.

A. S.

Francesco De Palma
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