FATTI

Novara e il suo ultimo libro: “Perché la scuola sta rinunciando a educare e come dobbiamo rimediare”

“E’ il mio primo libro di denuncia”, ha dichiarato il pedagogista Daniele Novara presentando il suo più recente lavoro, “Non è colpa dei bambini”. Un volume agile, ma ricco di cifre, aneddoti, storie, riflessioni, che può far bene a chiunque abbia a che fare con l’educazione, vuoi perché lavora nel mondo della scuola, vuoi perché in quel mondo entrano ogni giorno i suoi figli. 

C’è una denuncia – si diceva – nel libro di Novara, che è evidenziata dal sottotitolo: “Perché la scuola sta rinunciando a educare i nostri figli e come dobbiamo rimediare. Subito”. E’ la denuncia di un sistema basato sulla diagnosi dei limiti più che sulla capacità di andare oltre quegli stessi limiti grazie all’impegno formativo. E’ la denuncia di una medicalizzazione progressiva dell’azione didattica.
Sì, perché – come si è già più volte messo in evidenza su questo blog – le certificazioni di origine medico-psichiatrica riguardanti le difficoltà scolastiche di bambini e adolescenti sono aumentate in modo esponenziale, con un’accelerazione che preoccupa e rischia di alimentare non tanto un processo di inclusione di minori con disturbi di apprendimento, bensì una loro etichettatura deresponsabilizzante tanto per i docenti, quanto per gli stessi ragazzi. 
Il libro di Daniele Novara già sta facendo discutere. In qualche caso si sono levate critiche a chi ha cominciato a dire che “il re è nudo”; e che c’è qualcosa che non va in questa inflazione di diagnosi neuropsichiatriche. 
Ora, di tutto si può ragionare più approfonditamente. Ci sarà qualcosa che i critici della medicalizzazione della scuola non sanno cogliere. Ma resta il fatto che questa nuova scuola di DSA (ragazzi con disturbi specifici dell’apprendimento) e di BES (ragazzi con bisogni educativi speciali) riconosciuti non sembra essere più efficace di quella che l’ha preceduta in termini di successo formativo. Resta il fatto che i numeri ci parlano di un vero e proprio “boom” delle diagnosi, nonché, prendendo le stesse in considerazione a partire dai dati disponibili, di “disparità inspiegabili che si rilevano tra popolazioni scolastiche di contesti omogenei (addirittura all’interno di una stessa regione), o tra maschi e femmine”. 
Si chiede Novara: “Siamo in presenza di una generazione scompensata dal punto di vista mentale con disturbi neurologici e psichiatrici così gravi che porteranno conseguenze altrettanto significative nell’età adulta? dobbiamo preoccuparci del nostro futuro? Oppure questa esplosione di diagnosi e certificazioni è (solo) un segno inquietante dei nostri tempi?”. 

Forse, se guardiamo al peso che la divulgazione psicologizzante ha oggi nell’immaginario collettivo, nella narrazione di tutti i giorni, la risposta è facile. Ma il problema non è se questa sia la moda dei nostri tempi; la questione è più vasta.
Riguarda i risultati che questa ‘nouvelle vague’ neuro-psichiatrica finisce per determinare. E qui la risposta del pedagogista è, sia pur se espressa in forma dubitativa, molto chiara: “Il dubbio è che la diagnosi si risolva in una sorta di etichetta volta a creare alibi rispetto a situazioni che potrebbero avere un altro significato e un altro esito. Il rischio è che si creino situazioni per cui l’alunno, invece di attingere a tutte le sue potenzialità, si accasci letteralmente sul farsi aiutare. Da ultimo il rischio è proprio di creare una sorta di identità deficitaria, disabilizzata per cui l’alunno finisce col identificarsi non tanto con le sue risorse, quanto con la loro mancanza”.
Conclude Novara: “La questione centrale è poi se il sistema delle diagnosi produca ricadute positive sull’apprendimento di bambini e ragazzi. Così non sembra. Anche gli esperti cominciano a osservare che la certificazione e le facilitazioni che ne derivano invece di favorire e attivare i processi di apprendimento si trasformano in etichette che minano l’autostima e non stimolano, ma spengono le risorse”.
Mi sembra, questo libro, un sasso gettato in uno stagno fatto di abitudini e di psicologismo, dove galleggiano diagnosi che presuppongono certezze e fingono di offrire risposte (in realtà autoassolutorie, in realtà falsamente consolante). C’era bisogno di un sasso. C’era bisogno di una denuncia. Di aprire un dibattito. Di ricordare che, se c’è un problema, genitori e scuola devono farsene carico, sperimentando strade antiche e nuove; la soluzione non è e non può essere quella di dire che i bambini, gli adolescenti sono fatti mali, che è colpa loro. 

Francesco De Palma
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