CHIESA

Di fronte alla grande Storia, “sulla stessa barca” …

“La ‘piazza vuota’ nel cuore di una Roma deserta sarà un’immagine potente al pari di quella di Assisi 1986 […]. Un segno per l’oggi e per il domani, davvero un punto luminoso – di salvezza sperata e di fraternità possibile – nel buio in cui siamo immersi”, scrivevamo su questo blog martedì scorso.

Così è stato. Il “momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia” presieduto da papa Francesco è stato uno squarcio di luce in una notte di incertezza e di apprensione: “Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante […]. Ci siamo trovati impauriti e smarriti”.

Eppure, nel cuore di tenebra di questo tempo una luce si è vista. La gente – credenti e non credenti – ne è stata toccata, si è commossa: “Non dimenticheremo questa sera a Roma sotto un cielo scuro e la pioggia che bagnava la città come di pianto”; “Da ragazzo non pensavo le parole servissero a molto, in fondo. Invecchiando ho capito che non è così, e stasera una volta in più ne ho avuto la conferma”; “Lo dico da atea, che emozione e che potenza!”: ecco alcuni dei commenti in rete …. E poi i numeri: quasi 9 milioni di spettatori e il 33% di share per la diretta su Rai 1 (più quelli che seguivano via Tv2000 o internet)!

Il fatto è che tutti sentono come la Storia ci stia passando accanto.

E noi, abituati a vivere la piccola storia di ogni giorno, quella personale, impastata di gioie e drammi ingigantiti, abituati a schivare la storia molto più seria di popoli lontani, fatta di vicende spesso tragiche che rimpiccioliscono enormemente sui nostri media o nelle nostre coscienze; ecco, noi non ne siamo contenti. La grande Storia ci è vicina e noi ne abbiamo paura. Il suo soffio agita il nostro cuore.

“Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati. […] La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. […] Non ci siamo fermati davanti […] a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”.

Dei “sani” – oggi diremmo degli asintomatici – in un mondo “malato”.

Il papa, meglio e più di chiunque altro, ha compreso la nostra paura di fronte alla grande Storia. Ecco il segreto della così forte rispondenza al suo gesto antico, alla preghiera solitaria in una piazza vuota, all’invocazione rivolta a un Crocifisso del ‘500: “Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: ‘Svegliati Signore!’”.

Il pontefice giunto quasi dalla fine del mondo ha saputo parlare a un pianeta che sente prossima come mai da decenni a questa parte la fine di un mondo, la fine delle sue sicurezze, la fine della sua normalità.

(ANSA/ VATICAN MEDIA)

Ha saputo ricomprendere ciò che sta avvenendo, l’abisso del male, ma anche la grandezza dell’umanità: “Possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita […]: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli […], quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti”.

Ha saputo indicare una prospettiva: “Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è”.

Ha potuto dire quelle parole che nessun politico, nessun intellettuale, nessun responsabile di questo mondo potrà mai dire: “Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. […] E noi, insieme a Pietro, ‘gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi’”.

Francesco De Palma

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