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“La scuola sui binari” del futuro …

Una scuola estremamente particolare, l’ultima del suo genere in Messico. Frutto dell’art. 123 della “Legge del lavoratore”, la “Maninalli Tenepatl” è una multiclasse in un vagone ferroviario. Pensata per garantire un’istruzione ai figli degli operai della ferrovia, è finita per essere a disposizione pure dei figli dei braccianti, e di tutti coloro che vivevano più vicini alle linee ferroviarie che ai centri abitati. E’ questa scuola, residuo di un mondo che va finendo, la protagonista de “La scuola sui binari”, romanzo breve e sentito della spagnola Ángeles Doñate.

La Doñate, nata a Barcellona, ha vissuto a lungo in America Latina, e proprio in Messico, a Mexicali, luogo di frontiera, di passaggio di migranti, ha fatto volontariato in una scuola. Di questa esperienza si coglie l’eco in un libro che, se non è un capolavoro e incorre incredibilmente in strafalcioni cronologici, è comunque un’ode all’importanza della scuola, “a tutte le maestre e i maestri che difendono la speranza armati solo di matite colorate”, a questo eccezionale mezzo che la società ha creato per dare a tutti e a tutte una promessa di futuro.

E’ questa la forza di don Ernesto, il maestro che per decenni si spende nella scuola sui binari, con ognuno dei suoi piccoli alunni. Può darsi che alla fine raccolga poco – “Osservò con affetto il vecchio maestro. Nelle sue vene sembrava scorrere lo stesso entusiasmo di una volta, come se non fossero più di 40 anni che ascolta e ripete sempre le stesse cose e che raccoglie sempre gli stessi insuccessi, come se il mondo fuori non esistesse, come se tutto si decidesse fra queste quattro pareti. ‘Crede davvero che possano riuscirci’, pensò sorpreso” -, ma può darsi che quel poco sia tantissimo – “Don Ernesto aveva contagiato Valeria: adesso anche lei vedeva promesse” -.

Alla “Maninalli Tenepatl” ha studiato anche Ikal Machuca, figlio di un elettricista, vi hanno studiato i suoi amici. Quella scuola era stato il teatro dei primi amori, delle prime lacrime, delle prime gioie, della scoperta del mondo e delle sue ingiustizie. Lì Ikal aveva iniziato il cammino che lo avrebbe portato, anni dopo, con un altro nome, a capo della Direcciòn General de Educaciòn. Ed è a lui, che paradossalmente, giunge il fascicolo che suggerisce – o impone? – di chiudere l’ultima scuola vagone.

Sarà lui a dover decidere se quella scuola sarà ancora un’occasione di futuro oppure no, una promessa elettrizzante di ciò che ancora non è o una conferma triste di ciò che è già. Un dilemma di peso, di cui tutti noi, reduci da una stagione che ha visto chiudere per mesi, per la prima volta nella storia, i due terzi delle scuole del pianeta, possiamo ben cogliere la portata.

Francesco De Palma

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